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Caro Mattia Salvia,

Hai scritto una “lettera aperta a chi svolge un lavoro creativo”  che, fino alla terza riga tutto bene.
“Grande!” ho pensato. Poi, quello che era un discorso che filava, mi è sembrato cadere nel boschetto delle ovvietà dentro il quale mi sono addentrata e persa.
Non mi sento “il creativo” stereotipato che hai descritto, ma ho letto tra le righe degli insulti neanche troppo nascosti che mi sono rimasti lì- lì, tra il dire e il fare, tra il vaffa e ‘nculo.

Partiamo dal principio.
Su cosa siamo d’accordo?  Condividere un video come denuncia del fatto che mi sento “bistrattata” è come condividere la foto di un bambino del profondo Congo con scritto “se hai un cuore postami sulla tua bacheca”.
Su cosa non siamo d’accordo? E mo’ te lo dico.

“potrebbe sembrare che tu ritenga un tuo diritto inalienabile essere pagato per svolgere lavori che altre persone sono disposte a fare gratis…”
Se le altre persone sono disposte a fare quello che faccio io gratis è perché o non hanno un belin da fare, o perché hanno un grande cuore.
Ma io non mi sento Santa Maria Goretti e non vedo perché non dovrei essere pagata per un servizio che svolgo.
Per cui ti prego, non dire che ci sono persone che hanno piacere a stare (aggratis) 8 ore al giorno a sfornare idee, trovare concept per rendere appetibile la merda che ogni tanto ci passa il cliente, perché così mi insulti lo stagista. Anche lui sta 8 ore al giorno senza essere pagato e fidati, non è che gli piaccia tanto.

“…e questo in virtù del semplice fatto che tu, a differenza loro, hai speso 20,000€ di IED per imparare ad usare Photoshop CS 6 (…)una scuola dove per tre anni ti hanno insegnato a disegnare e a colorare ”
Questa battuta è del 15-18. Smettiamola con la storia che nelle accademie ti insegnano a colorare e disegnare, quello l’ho imparato all’asilo e non mi sembra di avere ancora 3 anni e mezzo.
Ha differenza di CHI ho speso 20.000 euro? Di uno che ha studiato giurisprudenza, economia, scienze motorie ma che è “creativo” perché fa i sottopentola con i rotoli della carta igienica? Perché anche quello ho imparato a farlo all’asilo.

“Ti dirò di più: la tua laurea non conta un cazzo.”
Grazie che me lo hai ricordato. La laurea non conterà un cazzo (vedi il Trota), ma i sacrifici che le persone hanno fatto per averla, contano e nessuno ha il diritto di sminuirli. (non vedi il Trota)

Il punto è che tu non gli stai offrendo un servizio. Finché continuerai a considerare il tuo lavoro in questo modo nessuno ti darà un soldo, e faranno bene.

E che cosa gli sto offrendo io? Ah già, il mio tempo, le mie capacità, il mio pensiero, le mie idee, la mia passione, la mia voglia di fare qualcosa di bello, la possibilità per lui di avere entrate economiche, di vendere, di posizionarsi sul mercato.
Ma fa bene a non pagarmi.

Perciò, caro amico “creativo”, se vuoi saltare la parte in cui dimostri di meritarti di venire pagato per il tuo lavoro e arrivare subito alla parte in cui vieni pagato per il tuo lavoro ti conviene andare in fabbrica.
Fidati, ci sono già. La maggior parte delle agenzie sono delle fabbriche di pensiero. Siamo gli operai della pubblicità.
Le nostre menti sono il nostro macchinario. Non produciamo bottoni, tappi, carne trita ma idee.
Perciò se vuoi saltare la parte in cui ti faccio un elenco per i motivi per cui dovrei essere pagata, ti conviene sederti.

Considerazioni personali di fine saggio:

Mattia, magari sei il direttore creativo più capace del sud est asiatico, ma perdonami quando dico che è frustrante sentire da una persona che ha delle doti stilistiche come le tue, che non possiamo pretendere di essere pagati per quello che facciamo.
Io non pretendo di essere pagata perché ho fatto un’università privata, ma perché, semplicemente, svolgo un LAVORO e soprattutto lo faccio BENE.
Ci sono persone che non hanno una laurea in grafica ma che sono valide tanto quanto me e i miei ex compagni di università. Ma perché questo accanimento nei nostri confronti? Siamo persone che non si alzeranno alle 5 del mattino, come dici tu, per impilare mattoni, ma che neanche vanno a dormire se c’è una scadenza improvvisa il giorno dopo dettata dai capricci di un cliente. Quindi il culo ce lo facciamo anche noi!

Quindi sì, non possiamo pretendere che le cose cambino con un Hashtag, la rivoluzione sarà pure virale ma deve essere reale. Ma farsi due risate per un video (#coglioneNO)  non mi sembra oggetto di una seconda rivoluzione.

Concludo con le parole di Federico Ferrazza “Diverso è il discorso di chi accetta/propone di lavorare a gratis. Ma è un ossimoro. Il lavoro gratis non esiste. Semplicemente perché non è un lavoro

Con questo chiudo, e non preoccuparti, nessuno mi ha pagato per scrivere il post.

8 thoughts on “Lettera aperta a Mattia Salvia

    • grazie curi, riporto quello che un mio amico ed ex compagno di università ha scritto: “è un bravo ragazzo…solo non ha idea di quale sia il “nostro” (aime non mio in questo momento) lavoro, penso che volesse accanirsi sui 4 hipster barbuti che si sentono geni perche usano le postate come addobbi natalizi ed è finito con generalizzare troppo.”

      • Infatti il problema è fare di tutta l erba un fascio. Comunque spostandomi in uk ho già notato che I lavori creativi non sono sminuiti come vedevo fare in italia,ora non so com è. Tu vai per la tua strada, hai talento 😉

  1. Io di fronte a parole come le sue non ho voglia neanche di discutere. L’ignoranza è una brutta bestia, porta alle generalizzazioni e alla superficialità, così come all’ironia spiccia.

    • il punto è che secondo me mattia salvia non è l’ultimo dei cretini, condivido il pensiero ma non la generalizzazione che è sfociata in un insulto generale anche per quei creativi che non “hanno scelto di fare il creativo perchè se avessero lavorato in cantiere non avrebbero avuto tempo per farsi i selfie”. i selfie se li fanno anche in banca, alle poste e dal dentista: perchè non dipende dal tipo di posto in cui lavori, ma dal tipo di persona che sei. grazie per il commento e speriamo di aver frainteso tutto, altrimenti pace e amen… i pensieri sono diversi e come dice sempre mio padre “ce ne faremo una ragione”

  2. Pingback: VIVAi ITALIA | pensieri di una stagista

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